Questo è quello che l’Evangelista Luca scrive riguardo alla nascita di Gesù (è la buona notizia che abbiamo ascoltato il giorno di Natale): [Maria] diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. Mangiatoia in latino (fino al Concilio Vaticano II la Parola era proclamata in latino) si dice PRAESEPEM, parola che ha dato il nostro presepe. Presepe è dunque la mangiatoia, trono regale in cui Dio si è fatto uomo come noi, ha assunto la nostra umanità per comprendere e vivere insieme a noi gioie, fatiche e speranze. È il grande mistero dell’INCARNAZIONE: è teologicamente corretto porre il presepe sotto la Croce, perché ci ricorda la meta finale (la Croce di Gesù è una croce vittoriosa). «La vita infatti si manifestò» (1 Gv 1,2): così l’apostolo Giovanni riassume il mistero dell’Incarnazione.

Fare il presepe è pratica molto antica: la tradizione vuole che sia stato San Francesco (il Santo amico del lupo, della Perfetta Letizia) a rappresentare per la prima volta la nascita di Gesù a Greccio. Nei quattro vangeli canonici non c’è traccia del bue e dell’asinello, elementi che sono diventati caratterizzanti dei nostri presepi: le informazioni sul contesto della nascita di Gesù si ricavano soprattutto dal Protovangelo di Giacomo, chiamato così perché Giacomo narra eventi successi prima rispetto a quanto si racconta nei 4 Vangeli (Matteo, Marco, Luca, Giovanni).

Papa Francesco nel 2019 ha scritto una lettera apostolica dal titolo “Admirabile signum”, sul significato e sul valore del presepe: il presepe, nella sua semplicità, è segno ammirabile che punta a mostrarci il semplice regno di Dio. È una lettera apostolica molto bella, difficile da riassumere perché contiene molti spunti. Vorrei riportare solo la frase finale, che vede nella realizzazione del presepe un’opera di evangelizzazione:

Cari fratelli e sorelle, il presepe fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità. Alla scuola di San Francesco, apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli.

Con l’Epifania arrivano i Magi, che rappresentano l’incontro dell’umanità con Cristo. Sono quei saggi venuti dall’Oriente per adorare il Bambino. Portano oro perché Cristo è re; portano incenso perché Gesù è figlio di Dio; portano mirra perché il Messia è immortale (ci sono più interpretazioni a riguardo). I Magi, sempre in cammino, sono guidati e seguono una stella: la stella rappresenta il desiderio più profondo, il desiderio è la stella che illumina le notti più buie. E’ bello ricordare che la parola desiderio contiene in sé la “stella”: de-siderio è “distanza dalle stelle”, quel cammino per raggiungere le stelle che vediamo nel cielo stellato. E un cielo senza stelle, un orizzonte senza desideri? Ecco che è un dis-astro, cioè assenza di stelle.

Andrea Casarin